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lunedì 25 marzo 2013

Le aziende puntano sui benefit tradizionali (e snobbano quelli in ambito benessere)

A parole sono tutti d’accordo: work-life balance, sostenibilità, benessere sono fondamentali per motivare le persone sul lavoro. Ma nei fatti in pochi (anzi pochissimi) nel mondo aziendale ne tengono conto. Di certo dall’Osservatorio di Sodexo Motivation Solutions non escono dati incoraggianti al proposito. Anzi. Basti dire che solo 562 aziende su oltre 6.300 mostrano interesse al tema salute e benessere. E di queste una minima parte prevede servizi ad hoc per i dipendenti: una su quattro tra le large e una su cento tra le piccole. Il motivo principale? La considerazione che non ce ne sia bisogno. Il budget è solo al secondo posto. Mentre c’è tutt’altro atteggiamento sugli incentivi (in particolare della forza vendita) legati alle performance e allo sviluppo del business: qui gli interessati arrivano quasi all’80%. E la via preferita è il vecchio caro buono carburante.  

mercoledì 20 marzo 2013

Alla conquista delle ex

L'America offre qualche chance in più (professionalmente parlando) alle donne. Diverse società, soprattutto big dell'area consulenza ma non solo, stanno puntando sulle ex collaboratrici. C'è chi sta mettendo in piedi programmi per riportare in azienda le donne che l'hanno lasciata per motivi diversi, primi fra tutti, ovviamente, la maternità. McKinsey, per esempio, secondo il Wall Street Journal (che ha pubblicato un articolo sull'argomento), sta muovendo i primi passi proprio in questa direzione. Non da meno Goldman Sachs Group: offre a chi ritorna dopo anni di assenza il "returnship", una sorta di stage (remunerato) ad hoc. Mentre Bain & Co e Boston Consulting Group affrontano "il problema" a monte, con orari flessibili e part-time. Funzionerà?

giovedì 14 marzo 2013

No spintarella? Ahi, ahi, ahi...

Almeno due italiani su 10 ammettono di aver trovato lavoro grazie alla "spintarella". Lo dice Eurispes nel Rapporto Italia 2013. Ma, a sentire le voci di corridoio, il fenomeno pare ben più ampio. E' un argomento su cui avere informazioni "ufficiali" è difficile. Un mondo complesso: non c'è solo la "raccomandazione tradizionale" (quella dal parente "importante", del potente di turno o, persino, dell'ecclesiastico), ma anche il "baratto commerciale", l'azienda con "corsia   preferenziale" per i figli dei dipendenti oppure la "semplice"  segnalazione. Quel che è certo è che chi non può contare sulla "spintarella" aspetta e spera.
continua

martedì 5 marzo 2013

Gli "yahooer" tornano in ufficio

Mentre  sempre più si sta andando verso orari flessibili e lavoro (almeno in parte) da casa, c'è chi fa il passo inverso. E, ancor più sorprendente, non parliamo di un'azienda qualunque, ma di una realtà ad alto contenuto tecnologico: Yahoo. Entro giugno tutti gli "yahooer" dovranno presentarsi in ufficio (a meno, ovviamente, che non abbiano un'ottima giustificazione per non farlo). Così ha deciso la nuova chief executive Marissa Mayer. Il motivo c'è ed è serio: una capitalizzazione di mercato scivolata a 25 miliardi di dollari dai 125 del 2000. Ma la scelta sta facendo discutere. Ci sono anche commenti positivi. Come il tweet di Donald Trump: "Giusto chiedere che i dipendenti di Yahoo non stiano a casa ma in azienda". Ma le critiche sono molte: da "così non si aiutano le madri lavoratrici" fino a "i migliori talenti fuggiranno da Yahoo". Ma si "spingerà" almeno la performance? "The Economist," uno dei più autorevoli giornali economici, è poco fiducioso al proposito. Titola eloquentemente: "Mayer culpa. Obbligare i lavoratori ad andare in ufficio è un sintomo dei problemi di Yahoo, non una soluzione".